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Costantini. Visita al femminile. Un approccio ragionato all'obiettività ginecologica

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È indubbio che nella maggior parte delle donne vi sia l’istinto primario di accogliere. È una pulsione biologica, culturale e sociale che noi donne ben presto sentiamo nel nostro percorso di vita. Si pensa alla donna come colei che accoglie, un po’ per sua naturalezza e un po’ per apprendimento sociale, il vissuto emotivo proprio ed altrui; ne acquista consapevolezza accettandolo, quindi aprendosi ad esso. Accoglie anche fisicamente, divenendo nido accogliente per il proprio compagno durante un atto d’amore e poi culla per il bambino che porta in grembo. Basti pensare alla gravidanza, nella quale la donna accoglie una vita e la custodisce con amore, predispo­nendo il proprio corpo a nido e nutrendo il proprio cucciolo fino al completamento della crescita necessaria per darlo alla luce. Lo stesso organo femminile, del resto, ci richiama il concetto di accoglienza e di introspezione. Un membro nascosto, non visibile, racchiuso nell’intimità della donna che lo custodisce come una parte misteriosa ed allo stesso tempo sconosciuta anche un po’ a se stessa. Esiste anche un’accoglienza culturale e sociale, per cui la donna è protagonista di molti atti di cura verso l’altro: dalle professioni di aiuto alle mansioni di accudimento dei fami­liari, è la donna che spesso si fa porto sicuro nella presa in carico. Alla donna, per definizione e stereotipo culturale, si affida la cura dei genitori anziani, dei neonati, della casa intesa come rifugio prediletto e rassicurante. Del resto, lo stesso lavoro che conduco quotidianamente con i miei pazienti come psicologa e psicoterapeuta è proprio quello di accogliere i loro vissuti, accettarli e riceverli, per poi restituirli con una chiave di lettura che possa aiutarli a fare chiarezza. In ogni atto di accoglienza, tuttavia, si nasconde un atto di fiducia, ovvero il compito non semplice della donna di affidarsi all’altro nel riceverlo. È fiducia quella che ripone la donna nel proprio compagno, quando lo accoglie svelando i lati più intimi della propria esistenza. È fiducia allo stesso modo quella che si crea nell’accogliere il nuovo, cosa che la donna sa fare con forza, reinventandosi con resilienza di fronte alle difficoltà della vita. È quella sensazione di fiducia che forse cercavo ormai quasi trent’anni fa, quando mi presentai dall’autore di questo lavoro per la mia prima visita gineco­logica. Allora ero una ragazzina che sapeva ben poco di visite e di ginecologia, salvo ciò che aveva più o meno raccolto dai pareri delle amiche più sveglie o dalle donne di casa. L’idea di accogliere un uomo, seppur un operatore esperto e professionale, non rientrava ancora pienamente nei miei piani a breve termine. Curioso che oggi, a distanza di anni, io mi trovi a ripensare a quel momento mentre scrivo queste righe. La mia relazione con l’autore, quindi il mio affidarsi a lui come ginecologo, si è solidificata nel tempo attraverso una conoscenza re­ciproca. C’è un confine intangibile tra l’accoglienza dell’altro e l’intrusione di questi nel nostro vissuto più personale. È un confine delicato e tacito, che spesso viene rotto nelle relazioni interpersonali, persino in quelle più solide e viscerali. Proprio questo confine è quello che l’operatore deve varcare agendo con la donna e su di essa tutti gli accorgimenti necessari, ad onorare la sua accoglienza. Se è vero che la donna vive per istinto l’accoglienza dell’altro, è altrettanto vero che culturalmente vige il luogo comune che nella testa e nel corpo delle donne sia molto raro entrare davvero. Parlando con molti amici e colleghi ho av­vertito nel corso degli anni la difficoltà maschile di affacciarsi a questo mondo di introspezione di difficile lettura. Questo perché in generale noi donne accogliamo l’altro, ma raramente accettiamo di donare una parte profonda di noi stesse; il bisogno di curare l’altro spesso è più forte di quello di chiedere una cura tutta per sé. Allora ecco che il compito dell’operatore in ginecologia, oltre che onorare l’accoglienza, diventa quello di leggere la propria paziente. In un certo senso, egli dovrà armarsi di lenti speciali – in gergo psicologico le definirei capacità empatiche – che gli permetteranno di percepire il vissuto della donna e ricono­scerlo sintonizzandosi con esso. Solo così sarà in grado di sentire, sotto il velo dell’accoglienza, la richiesta di essere assistita e curata persino nella propria parte più intima. La comprensione della richiesta della donna permetterà all’operatore di metterla al centro della propria cura, che verrà pianificata con essa e cucita sulle sue necessità, sulle credenze e sui suoi tempi personali. Questo approccio di medicina personalizzata, che io stessa come operatrice studio ed applico quo­tidianamente da diversi anni, è a mio avviso lo strumento privilegiato per la co­struzione di quel legame di fiducia necessario, e soprattutto per il riconoscimento della linea di invasione della sfera intima della paziente. Oltre che un approccio si tratta anche di una grossa sfida che il medico chiede a se stesso, però. La sfida di riconoscere che è la donna colei che detiene il sapere sulla sua sfera genitale e di trovare la chiave di lettura più adatta al suo linguaggio verbale e corporale. In altre parole, la sfida di fidarsi della paziente e di accoglierla a sua volta.
Nelle parole dell’autore ho percepito questa sfida, trattata con l’esperienza di molti anni a contatto con le donne. La ricerca di una elaborazione condivisa della visita e dei dati raccolti attraverso essa guiderà il lettore verso un approccio alla ginecologia pensato “a misura” di donna. Se il lettore saprà cogliere la sfida, sarà un interessante viaggio nel nostro mondo. Un tema centrale che, nella nostra epoca, si insinua profondamente nella coscienza di chi vive quotidianamente la preoccupazione di un esercizio consapevole della medicina è il rapporto che, ad ogni livello, esiste tra espressione più autentica e responsabile della clinica ed organizzazione della stessa. È un problema che può dirsi sostanziale ancorché, molto spesso, diventi fonte di compromesso oppure se ne constati il tentativo o il programmatico oscuramento, ma che, in realtà, fonda il senso stesso del professionismo sanitario e la connessa tutela di valori affermati nelle più alte enunciazioni di diritto. Percorrendo il testo di Walter Costantini, che accompagna il lettore in un itinerario di passione e di esperienza, i termini del problema, visto dal ginecologo nell’ottica del mondo femminile, affermano un’univoca via di risoluzione: la donna e il suo bisogno come cuore pulsante di una relazione irripetibile ed esclusiva. Una prospettazione di finalità altissime, di valore indiscutibile, di peculiarità assoluta. Sembra quasi impossibile che, al termine di questa lettura, si mediti su come ci fosse bisogno di una simile articolata riflessione sulla visita ginecologica che unisce la tecnica all’attenzione ed al dettaglio, la preoccupazione della completezza operativa al culto del rispetto della realtà personale, la visione generale dei problemi alla rilevanza essenziale del particolare individuale; tutto metodicamente plasmato sulla centralità della persona e del suo essere una realtà unica ed esclusiva. È come se ci si trovasse di fronte ad un progetto di riconquista di contenuti e di specificità della relazione tra medico e donna che è la colonna portante e costante della storia della medicina e che, evidentemente, la nostra epoca richiede urgentemente di essere ribadito, ripercorso, attualizzato. Non conosco altri testi di analogo contenuto, accuratezza e significato in epoca contemporanea: e il pensiero che questo lavoro derivi da una competenza così profonda e meditata, oltre a colmare un vuoto ed a riproporre motivi centrali di prassi e riflessione, suscita semplicemente fierezza nella condivisione di un pensiero medico. Inevitabilmente, a chi scrive, affrontando il testo sono scattati emblematici spunti di considerazione medico-legale proprio in relazione alla miriade di stimoli che ne derivano e che le pagine di Costantini offrono puntualmente all’attenzione. Tutta l’articolazione del libro (che potremmo definire di semeiotica integrale) non esprime una preoccupazione, ma un progetto fondato su esperienza, dedizione e professionismo medico che inglobano, in prima istanza, l’interesse e il bisogno della donna: un ripensamento che si sviluppa su un principio di empatia che previene, addirittura, le sensazioni, le percezioni e il pensiero della paziente. Motivi che rappresentano, inequivocabilmente, il primo e principale passo preventivo del realizzarsi di un rischio e, ancor più, di un conflitto, insiti nell’altezza e nella delicatezza della prestazione. E questo motivo dominante colpisce il segno e impone immediata sottolineatura da chi si trova quotidianamente a ricostruire, con analisi epicritica, l’itinerario ricostruttivo dell’evento indesiderato nel quale, sempre, anche gli elementi relazionali, di affidamento, di delega, di comunicazione rivestono un ruolo essenziale. Vi è poi un aspetto che si sprigiona dall’appassionante itinerario “figurativo” del testo e che si può ritenere strettamente connesso e complementare al precedente: l’attenzione ai fatti della persona umana come a realtà comunque sempre complesse. L’autore parla espressamente della “incommensurabile complessità del reale che ci circonda” e si comprende bene quanto vissuto e quanta elaborazione interiore siano il fondamento di questa affermazione. La quale è il paradigma unico e preliminare ad ogni approccio clinico nella medicina umana senza il quale (attraverso l’automatismo, la sottovalutazione, la standardizzazione) si pone la prima base dell’errore. Da ultimo, percorrendo le pagine di Visita al femminile, proprio attraverso l’approfondimento del complesso delle interazioni tra protagonisti, ambienti, intenti e finalità, si vive in modo concreto un cammino di convinta affermazione del valore e della qualifica individuale del bene Salute. Si tratta di una visione che sigla il parallelo con un’evoluzione storicamente ben apprezzabile nel diritto del nostro Paese: anche qui, a fronte di una prevalenza originaria della valenza collettiva di questo interesse centrale, nelle affermazioni quale principio fondamentale, si è vissuto un progressivo incremento dell’attenzione alle sue connotazioni quanto più specificamente e peculiarmente personali. Costantini parla esplicitamente di “individualità psico-fisica” proponendo un’espressione che non può non richiamare il concetto stesso di integrità biologica che, attraverso una lunga e complessa evoluzione di dottrina e di pronunce giurisprudenziali, è giunta, negli anni Ottanta del secolo scorso, a costituire il parametro fondante la valutazione del danno nella persona umana considerata nella sua unicità ed irripetibilità. In realtà, questo compendio va anche oltre, trattando di categorie estetiche nel significato più profondamente proprio e conducendo l’autore a parlare apertamente di “prossimo”: un termine molto impegnativo ed assolutamente consono all’esercizio della medicina, sul quale si fonda un rapporto di donazione dal quale scaturisce una paritetica ricezione permanente, senza confini, senza preclusioni, senza distinzioni. Walter Costantini vive e ci trasmette uno scrigno di indicazioni tecniche, di linee di condotta, di considerazioni globali sulla visita della donna che ci avvicinano anche all’abbattimento di una frontiera di genere poiché si apprezza, dall’inizio alla fine del suo elaborato, che il motore di tutto il discorso è l’amore: per una professione, per ogni donna che ne richieda il contributo, per l’uomo, senza confini.

Scheda dati

Lingua
Italiano
Autore
Walter Costantini
Casa Editrice
Piccin
Anno pubblicazione
2016
Mese di Pubblicazione
Luglio
Edizione
1
Volumi
1
Pagine
244
ISBN
9788829927708
Rilegatura
Copertina flessibile

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